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Tu vuò fa l’Americano?

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An established technology company is using Blockchain to dismantle

… Ma anche Negroni, Spritz e compagnia bella: considerazioni di un Italiano che surfa cocktails portando i nostri prodotti sulla West Coast

Gli Americani, si sa, specialmente sulle due sponde della East & West Coasts, adorano il Made in Italy un po’ a tutti i livelli: moda, design, cultura ed arte, ma stravedono per il comparto food & beverage, con tanto di vacanza enogastronomica pianificata nel Belpaese.

Quello a stelle e strisce è, già di per sé, un popolo avvezzo al mondo del bere miscelato – come insegna il primo manuale della storia della miscelazione by Prof. Jerry Thomas: la cultura del cocktail é talmente radicata che la mixology si diffonde anche fra le mura domestiche, in uno spazio di fruizione che porta il bere miscelato a casa e non solamente al bar, anche se quest’ultimo rimane il luogo per eccellenza in cui l’aperitivo si insedia, ormai anche oltreoceano, come un’abitudine vera.

Il concetto di happy hour differisce, e parecchio, rispetto al classico aperitivo all’italiana: consumando uno o più drinks accompagnandoli con il food, l’happy hour diventa il sostituto della cena vera e propria, mentre l’Aperitivo con la A maiuscola, per come lo concepiamo noi in Italia, é da sempre cosa ben diversa: una sorta di preparazione, propedeutica alla cena, dove sorseggiando un cocktail o un bicchiere di vino di solito accompagniamo un piccolo snack che stuzzichi l’appetito.

Nella California che sto imparando a conoscere, moltissime persone consumano un drink accompagnandolo con dei piatti della cucina nell’orario canonico dell’aperitivo, mentre altri consumano solo un cocktail o un vino per poi cenare: insomma, la situazione é eterogenea.

È qui che, dunque, ho potuto toccare con mano il “fondersi” delle differenti culture del bere pre-dinner del “momento aperitivo: le consumazioni nei bar e nei ristoranti sono le più disparate, ma stanno radicalmente evolvendosi spesso in favore del Made in Italy. Sempre più numerose sono le richieste di Spritz, Negroni, Garibaldi, liquori e amari italiani (al punto che la dizione “Amaro” qui finisce per comprendere una moltitudine di prodotti italiani, e non solo i digestivi come da noi) rispetto allo zoccolo duro dei cocktails a base di whiskey americano, ai Martinies o a quelli a base di distillati d’agave, a cui gli Americani sono molto affezionati.

Ció che rimane sostanzialmente differente è, in definitiva, la modalità di consumazione dell’aperitivo. Spesso le persone cominciano a bere un cocktail per poi passare ad un vino a ad una birra: esattamente il contrario di quello che succederebbe da noi in Italia.

Se, dunque, da una parte, il Made in Italy é un buon punto di partenza ed i prodotti italiani sono ormai diffusissimi, dall’altra diventa necessario conoscere bene gli stessi per poter suggerirli o miscelarli al meglio delle loro caratteristiche e peculiarità, dai vini ai liquori, dalle grappe agli Aperitivi&Co.

Il fatto di poter promuovere un tipo di miscelazione con un’impronta italiana ben radicata é motivo di orgoglio oltre che di costante di connessione con il mio Paese. Su tutto, però, mi pare essere una scelta oltremodo vincente: basta dare un’occhiata a quello che sta avvenendo globalmente in un mondo sempre più connesso e globalizzato e quindi, per contrasto, attento alla territorialità e alla cultura dei luoghi e dei prodotti.

E se un buon Americano cocktail, accompagnato da olive verdi di Cerignola e due patatine, rappresenta un modo migliore di preludere alla cena rispetto a bersi un Moijto e poi cenare mangiando porchetta, stesso discorso vale nel consigliare un buon vino o un bitter. È tutta questione di scelte, ben ponderate, rispetto ad uno specifico momento della giornata: resta poi sacrosanto e valido al 100% il concetto di ospitalità, per cui un ospite deve poter bere quello che desidera. Anche se io, da buon Milánes, mi ostinerò a proporre un Campari shakerato (che oltre che essere un ottimo aperitivo riporta la mia memoria agli anni in cui, dietro le istruzioni e consigli di mio papà, ho mosso i miei primi passi nel bar di famiglia…), so che, dopotutto, non è quasi più necessario il mio invito: l’aperitivo in perfetto stile italiano è ormai radicato in America, a tutti gli effetti e a tutte le latitudini – chiaramente nelle città di maggior importanza economica e turistica, grazie allo sforzo di tanti importanti e rinomati brand che esportano nel continente, ben entusiasti di questo mercato che li adora.

Alle volte sono stati i patron dei grandi brand italiani a fare un salto da queste parti, spendendo parte del loro tempo per venire qui a spiegare i loro prodotti ai clienti con tour promozionali, masterclasses o seminari, in eventi dedicati al beverage magari con l’occasione di presenziare al Tales of the Cocktails di New Orleans, dove ogni anno si riunisce il gotha della bar industry. L’introduzione di nuove categorie merceologiche nell’utilizzo comune in miscelazione, come il rosolio piuttosto che il grande arrembaggio degli amari e di limoncello e nocino, ne sono una conferma – pensare, ad esempio, che a San Francisco il Fernet venga consumato più che in Italia e che faccia ormai parte della tradizione è piuttosto eloquente. Congiuntamente a questo, per capire quanto il Made in Italy sia elevato a punto di riferimento negli Usa basti pensare a tutti i produttori americani che hanno investito tempo e risorse nella creazione, fra amari&bitters, di prodotti analoghi ai nostri…

Tutto questo, però, sarebbe nulla senza il lavoro di tanti barman italiani all’opera sulla West Coast, sempre supportati, affiancati e alle volte guidati dai barman americani: questi ultimi sono stati tra i primi in tutto il mondo a riscoprire la storia della miscelazione classica, che è costellata da prodotti italiani e che dialoga ogni giorno con il mondo dell’aperitivo come lo intendiamo noi.

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