Breve riassunto di una tradizione tutta italiana che sta conquistando il mondo
L’aperitivo è quel momento, ormai riaffermatosi e tornato ad essere un vero e proprio rito, che accomuna amici, colleghi di lavoro, coppie e compagnie che si ritrovano per socializzare, parlare dei trascorsi della giornata o semplicemente per pianificare la serata, sia essa una cena, una visita a un club o qualche ora di buona musica dal vivo. Esattamente, quali sono dunque le origini della tradizione dell’aperitivo? Bisogna fare un salto nel passato e andare indietro di qualche lustro, quando l’usanza di precedere la cena consumando una bevanda alcolica (o meno) con lo scopo di favorire l’appetito si affermava in tutta la sua pregnanza: il termine aperitivo, che deriva dal latino “aperire”, richiama appunto l’idea di stimolare e incentivare la consumazione di cibo. Non è da ieri che l’aperitivo costituisce pratica comune per chi voglia riunirsi in compagnia, sorseggiando bevande accompagnate da piccoli stuzzichini come focaccia, pane, olive, e chi più ne a più ne metta: in ogni caso, però, cose semplici, che aiutino a familiarizzare e a predisporre lo stomaco per il pasto.
A Torino, agli inizi del XX secolo, era tradizione bere vermouth all’ora dell’aperitivo: l’invenzione di Antonio Benedetto Carpano divenne così popolare che i nobili, gli intellettuali, i politici e la borghesia si incontravano nel tardo pomeriggio per degustare la bevanda di sua creazione. Pian piano, l’abitudine del rito dell’aperitivo si diffuse in altre città italiane come Firenze e Genova, ma è Milano la città che ha maggiormente contribuito alla sua diffusione – in termini di cultura di massa e abitudine di collettiva. I locali del centro città erano i più frequentati e il Camparino in Galleria Vittorio Emanuele II, all’angolo con Piazza Duomo, si può considerare come il progenitore dell’aperitivo meneghino. Lì, infatti, venivano serviti insieme ai cocktail a base di Campari anche stuzzichini e altri cibi freddi di accompagnamento alle bevande: l’accompagnamento di alcuni piccoli sfizi culinari fu così imitato, in seguito, da parecchi altri bar e caffè storici della città. Per decenni, il rito dell’aperitivo rimase invariato, con pochi cocktail e sostanzialmente un’alternanza o un abbinamento di patatine, olive e tramezzini, a mo’ di offerta per la clientela.
La svolta avvenne con l’introduzione, sempre a Milano, dell’happy hour, un rito nato negli Stati Uniti negli anni Settanta, che arrivò nella capitale lombarda attorno agli anni Ottanta. L’happy hour prevedeva una o due ore, in coincidenza con l’orario dell’aperitivo serale, in cui tutte le bevande costavano metà prezzo, o in alternativa si offriva una vasta selezione di cibo che andava al di là di semplici stuzzichini: pasta, risotti, piatti etnici, grande assortimento di salumi e formaggi. L’aperitivo milanese divenne un autentico punto fermo di quegli anni: ribattezzato “ aperitivo lungo”, sconfinava infatti con l’orario di cena, spesso sostituendosi alla stessa.
Nel resto d’Italia, l’aperitivo milanese si è successivamente consolidato notevolmente; se, però, al Nord si è ben diffuso, è nel centro e nel Sud Italia in cui non attecchito in maniera così rilevante; menzione a parte meritano il Friuli Venezia Giulia così come la maggior parte del Veneto, dove si continua a seguire il rito dell’aperitivo secondo le tradizioni locali, con ottimi vini e pochi stuzzichini.
I turisti stranieri in visita in Italia hanno potuto così scoprire con piacere e stupore questa abitudine nostrana e, una volti ritornati nei loro rispettivi Paesi, hanno cominciato a richiedere qualcosa di simile, tant’è che in molte grandi città europee si cerca di imitare, replicare e riproporre questo fenomeno tutto italiano – anche se, alle volte, con risultati non proprio entusiasmanti. Inutile dirlo, dunque: l’aperitivo italiano resta unico nel suo genere e, nonostante vanti innumerevoli tentativi di imitazione, rimane, nella sua originalità… semplicemente inimitabile.
Tu vuò fa l’Americano?