In Italia la diffusione del brandy è alquanto tardiva poiché, a differenza dei vini bianchi esangui di Aquitania e di Charente, praticamente invendibili e chiusi dallo strapotere commerciale del Claret di Bordeaux, i nostri prodotti si vendevano molto bene sul mercato interno ed europeo.
Il suo successo commerciale corrisponde con gli inizi del 900 ed avrà un vero e proprio boom negli anni 70 grazie a pubblicità mirate e ad almeno una decina di aziende operanti sul mercato con produzioni di rilievo.
I motivi di questa diffusione tardiva sono legati al nostro sistema enologico e commerciale. In passato, distillare il vino avrebbe sottratto risorse al commerciante ed un prezioso alimento utile al sostentamento di intere famiglie, pertanto si preferiva la lavorazione in alambicco di vinello e vinacce. In Piemonte una bolla daziale del 1443 ci conferma come vi fosse una produzione di acquavite di vino ma di come questa fosse utilizzata esclusivamente come solvente per le macerazioni delle spezie e delle erbe utili alla fabbricazione di elisir.
La mancanza di una produzione di brandy per così dire industriale, come già accadde in Francia nel secolo successivo, nasceva anche da una certa arretratezza della lavorazioni in vigna, pertanto la produzione non dava eccedenze da avviare alla distillazione ed era per intero consumata in loco o venduta su ricchi mercati. Agli inizi dell’800 l’enologo di sua maestà Carlo Alberto dichiara rese in vigna che oggi non sono proprie neanche del disciplinare più ferreo dei nostri migliori vini, come Barolo o Amarone, con produzione super castigate per ottenere qualità dei grappoli.
Dobbiamo aspettare una delle periodiche guerre dell’Impero Britannico perché anche l’italico suolo sia ufficialmente produttore di distillato di vino in buone quantità. La distillazione del vino divenne una pratica comune, poiché l’acquavite era necessaria alla produzione del Marsala. Il metodo era del tutto simile ai distillati di vino francesi con la bollitura di un mosto di uve bianche, ricco d’impurità e lieviti, con un taglio classico di teste e code. L’unica differenza sostanziale era la gradazione alcolica dei mosti che era decisamente più elevata e che permetteva anche una sola distillazione, utilizzando una colonna di rettifica in stile armagnacais.
Quando le fortune del Marsala iniziarono a declinare, Vincenzo Fiorio che a sua volta aveva avviato nel 1832 una sua azienda produttiva, rilevò le cantine degli inglesi, che avevano iniziato a lasciare l’isola. La terminata necessità di acquavite giovane per la fortificazione dei mosti portò alla pratica dell’invecchiamento delle acquaviti nel tentativo di creare un prodotto che potesse competere con finezza con i brandy spagnoli e le acquaviti francesi che nel frattempo si erano affermate grazie ai distillati di Cognac.